PROLOGO: Pianeta di
Rammatpolen, Crocevia Dimensionale AY-2211
La mano scostò la tenda. La
camera fu investita dalla luce di due soli. Le stelle, una azzurra
e l’altra rossa, erano lontane, e la loro luce combinata non era più intensa di
quella di un tramonto terrestre. Ma era ugualmente luce.
E su Rammatpolen erano ancora le tre del mattino.
“Che posto del cavolo,” disse a sé stessa la robusta figura umana in piedi
davanti alla finestra. “Neanche le stelle ti lasciano dormire tranquillo, come
se non bastassero le preoccupazioni.”
Rodrigo N.I. Pollard, Capitano
del sottomarino strategico Neonautilus,
tornò a sedersi sul letto. Si grattò la folta barba nera e sospirò -inutile
pensare a tornare a dormire, ormai. Tanto valeva stilare la lista dei membri
dell’equipaggio che sarebbero rimasti in questo
manicomio, invece di tornare sulla Terra.
“Ecco il guaio di un
equipaggio senza legami familiari,” brontolò sempre a
sé stesso, mentre indossava la vestaglia. “Alla prima occasione buona, fanno
fagotto e amen, chi s’è visto s’è visto. Non avete
voglia di restare fedeli alla vostra nave? Che vi venga un bel malanno.”
Pollard si sedette
alla scrivania -almeno, quegli alieni del cavolo erano stati abbastanza
gentili da fornirgli un arredamento secondo le sue esatte istruzioni. Avrebbe
preferito essere sul sommergibile, ma gli alieni lo avevano rivoltato come un
calzino, e non ci avrebbe rimesso piede finché i suoi uomini non lo avessero controllato a dovere.
Pollard prese carta e penna e
iniziò a ripassare i nomi, partendo dai marinai, fino ai membri del ponte di
comando -e qui, la lista era desolante: Takeshi
Mori, armamenti, era già convinto di rimanere. Milena Grossmonde, sonar, era orientata per restare. Jerome Lawson, biologo, sarebbe rimasto
attaccato al culo di ogni bestia esotica di quel
mondo; per lui era il Paradiso, punto e basta. Hugh Howards, il pilota e timoniere? Quel
figlio e nipote di un avventuriero faceva solo finta
di essere indeciso, si vedeva da molto lontano. Era il tipo che avrebbe dato un
braccio per partecipare a qualunque impresa li aspettasse su questo mondo. Moriz Serchenko, l’ingegnere, sembrava
il solo disposto a non restare un’ora in più del necessario… Ma era anche vero
che a lui premeva il ‘suo’ sommergibile più di
qualunque altra cosa. Se ne voleva andare solo perché temeva per la nave. Gladstone Hawkins, il secondo scienziato
al seguito del rinnovato e presto rismantellato Team Godzilla, era anche lui caduto preda del fascino del nuovo mondo; si sarebbe dovuto
abbatterlo per convincerlo a tornare a bordo. Alan Parker, comunicazioni, avrebbe obbedito a quanto ordinato dal
Capitano; era giovane, ma il suo senso della disciplina era degno di un
veterano.
“Per quello che serve…” Era
persino inutile scervellarsi: senza un equipaggio decente in plancia, Pollard
non poteva mandare avanti il Neonautilus.
Ecco il guaio di disporre di un sottomarino
ultramoderno convertibile: ci voleva gente troppo
specializzata per governarlo! Non si andava avanti a rimpiazzi. “E dire che l’ho chiesto un equipaggio sostitutivo, cavolo! Ma volevano risparmiare, quei pirati!”
MARVELIT presenta
Episodio 3
- La Notte delle Decisioni
La porta si aprì, e Pollard
entrò nell’hangar. “Dannati pirati, figli di taccagni e
collaterali di taccagni…”
Smise di borbottare, alla
vista del suo sottomarino -lui preferiva considerarlo tale, anche se poteva
fare sfrecciare nel cielo la sua elegante forma a propulsione nucleare.
Pollard spostò lo sguardo
verso la gigantesca ‘gabbia’, in realtà un enorme habitat artificiale, che
conteneva la ragione della loro presenza su Rammatpolen: Godzilla, il ‘Re dei Mostri’. Come al solito,
il titano rettile non si vedeva.
“Ancora sotto la sabbia,
bello?” fece l’uomo con una punta di acido. “Le avessi
almeno deposte, queste dannate uova!” L’idea che un simile mostro si stesse preparando a diventare mamma gli metteva a dir poco i
brividi. In compenso, questi alieni erano interessati a tenersi ‘zilla, e a lui
andava benissimo, anche se, tornato sulla Terra, non sarebbe
stato pagato un centesimo dai finanziatori del Team Godzilla II.
Pollard osservò
la gabbia-habitat, diede una pacca sullo spesso materiale trasparente.
E sentì che c’era qualcosa che non andava.
Pollard era un vecchio lupo di
mare, abituato a contare molto sulle proprie sensazioni. Ed
in quel momento, era assolutamente certo che ci fosse qualcosa che non andava.
Diede un’altra pacca al
cristallo. “Sei ancora lì, lucertolone?”
Niente. Neanche
il familiare brontolio da ‘non disturbare’.
“Diavolo!” Pollard si voltò e
corse verso la nave.
Passarono
altri tre minuti prima che la sirena dell’allarme si
mettesse a suonare.
Nel giro di un quarto d’ora
dopo l’allarme, l’hangar si era trasformato in un vespaio di attività.
Alieni di varie forme stavano scandagliando l’habitat in lungo e in largo,
coadiuvati da un piccolo esercito di droni e di robot.
“Non c’è molto da dire: voi terrestri
siete solo chiacchiere. Degni simili di un perdente
come te, Ral Dorn.”
La sala tattica del Neonautilus era avvolta da un tetro
manto di rabbia mista ad imbarazzo. Il solo a parlare, per ora, era Jolos, il
sadico Cavaliere d’Oro del mondo di Venaria.
“Persino la morte di Godzilla
sarebbe stata meno disonorevole del farselo rubare
sotto il naso.”
Ral Dorn, il Dragonlord, non
osò ribattere. A poco valeva asserire che ogni misura precauzionale era stata
presa, che era stato fatto tutto il possibile per assicurarsi che nessuno
tranne i terrestri, lui stesso e gli Hudak potesse avvicinarsi al gigante.
Il pensiero che Pollard potesse entrarci qualcosa aveva attraversato la sua mente,
ma quel dubbio era durato il tempo di osservare le registrazioni delle
telecamere. I terrestri erano stati attentamente monitorati minuto per minuto,
e non avevano fatto nulla di sospetto.
“Con tutto il rispetto, amico,” disse Hugh, alla sua terza sigaretta. “Che cavolo ci fai qui? Non mi pare che la cosa ti riguardi, anzi: non ti
va solo bene che ci sia un rivale di meno in giro?”
Il giovane dai capelli color platino si levò in piedi. “Sono qui perché avete bisogno di
tutto l’aiuto possibile per recuperare Godzilla.”
“Cosa?”
detto allo stesso tempo da Lawson, Mori e Grossmonde.
Jolos fissò uno ad uno i
membri dell’equipaggio. “La vostra creatura ispira potenza e fierezza come
poche: devo combatterla al fianco del
mio Saghìtar. Che
onore ci sarebbe, ad essere vincitore del torneo senza un così degno rivale?”
“La tua offerta è apprezzata,
Jolos di Venaria,” disse l’hudak posto al centro del
tavolo. Era una creatura simile ad una buffa palla di pelo, dai colori rosati.
“Ma non ci sarà di aiuto, se prima non scopriamo chi
può avere rapito Godzilla.”
“Mercanti, ovviamente,” disse Hugh Howards, esalando una nuvola di Marlboro.
Molte teste si voltarono verso di lui. “Se ho capito
bene le regole, ogni drago, anche se non capisco perché credete che ‘zilla lo
sia, deve essere accompagnato dal suo dragoniere, senza eccezioni. Perciò, se
il nostro bestione si presentasse con un altro tizio, la coppia sarebbe
squalificata.” Vide Ral Dorn e Jolos assentire. “E se io fossi al posto dei rapitori, piuttosto che
ucciderlo, me lo terrei ben vivo per venderlo al migliore offerente, con tutte
le uova. Inoltre, mi garantirei un bel capitale con il bestione fertile.
Domanda: voi palle di pelo
conoscete chi si accollerebbe l’incarico di rubare un mostro vivo di trentacinque
metri e alcune uova da rivendere a qualche collezionista o figlio di buona
donna senza scrupoli?”
“Bisognerebbe rivolgersi alla
gilda dei ladri, sul pianeta Naplar. Ma non è loro abitudine fornire
informazioni ad alcun estraneo alla gilda.”
“Vuol dire che glielo
chiederemo con le dovute maniere. Giusto, Capitano?”
Pollard considerò la cosa. Da
un lato, più lontano spariva quel mostro, più lui si sentiva sicuro che non
sarebbe tornato sulla Terra…
Ma se era vero che lo voleva catturare per evitare che
degli innocenti soffrissero nelle sue scorribande, poteva permettere che
qualche criminale cosmico lo usasse come arma? Non sapeva perché, ma Pollard se
lo sentiva nelle ossa che Godzilla non sarebbe finito
in qualche zoo privato. Diavolo!
Pollard
si alzò in piedi. “Signori, pronti alla partenza. Destinazione: Naplar.”
Lo schermo grande si accese,
mostrando un panorama stellare.
Una stella prese
a brillare di una luce intermittente, seguita da un’altra non molto
distante -almeno sulla carta. Poi una linea unì i due corpi celesti.
“Dieci anni luce separano
Rammatpolen da Naplar,” disse Jolos. “Fortunatamente
per la vostra antiquata nave, esistono i Viadotti, o Godzilla farebbe in tempo a morire di vecchiaia.”
Pollard decise per l’ennesima
volta che avrebbe preso quel damerino a calci nel suo sedere placcato solo a
missione terminata. “Antiquata i miei stivali, mister. Questa nave…”
“Non ha neppure un motore
subspaziale. È antiquata.”
Nella stiva, Lawson era
occupato ad osservare l’ingresso di Saghìtar, il drago di Jolos. “Dio, è
bellissimo,” mormorò in tono quasi reverente. Sulla
Terra, i draghi genuini, quelli delle leggende, erano, per quanto ne sapeva, praticamente estinti. Il solo di cui avesse
conoscenza era solo un mutante, il Drago di Giada della China Force.
Questa creatura non era un
mutante. Era vera. Un bestione di una quindicina di metri,
dalle scaglie dorate, venate di rosso. Quadrupede, dotato di un paio di
spesse ali che, anche ripiegate, erano enormi. La coda era coperta da una
cresta di spunzoni. Due paia di corna, e una sorta di
ventaglio dietro le guance.
E gli occhi! Lawson ne aveva
studiati, di animali. Aveva imparato a riconoscere la scintilla dell’astuzia,
dell’intelligenza. E questa creatura non era un bruto, ne era
sicuro.
Saghìtar era già bardato.
Fissata al fianco della sella c’era una lunga lancia color avorio. Il drago si
mosse lungo la stiva, progettata per contenere Godzilla, fino a che decise di
sdraiarsi a zampe incrociate, il collo sollevato regalmente. Il suo sguardo
sembrò dire a Lawson ‘Che hai da guardare, tu?’
Takeshi era quello che si
sentiva meno sicuro, in quel contesto. Sicuro, tutti gli armamenti erano a posto e pronti. Gli
alieni erano stati abbastanza cortesi da rifornire il Neonautilus di tutto quello che serviva… Ma la nave non aveva mai
dovuto affrontare una possibile battaglia spaziale.
In cosa si stavano andando a
cacciare?
“Signor Mori?”
chiese il Capitano.
“Armamenti, OK.”
“Scansori?”
“Scansori,
OK.”
“Motori?”
“Motori, OK,”
rispose Serchenko dall’interfono.
Andò
avanti così per ancora un minuto. Terminati i controlli, Pollard disse, “Molto
bene. Signor Howards, ci porti fuori.”
“Sì, posso definirmi
soddisfatto. Davvero soddisfatto.”
Le uova di Godzilla, chiuse
ognuna in un contenitore cilindrico, furono trasportate a bordo di una piccola
astronave.
La creatura che aveva parlato
era umanoide, maschio, dalla pelle rossa come il sangue ed i capelli biondi e
lunghi. Indossava una lunga veste bianca, e nella mano stringeva un lungo
spadone.
Ed era enorme. Misurava trenta metri. “Avete fatto un
buon lavoro, Fratelli Mita.”
I tre alieni umanoidi ai piedi
del gigante, figure quasi invisibili, delineate dal
contorno tremolante dei loro corpi, non dissero nulla. Erano i massimi
professionisti del loro campo.
“Il vostro compenso è stato
già versato. Se avremo ancora bisogno di voi, vi chiameremo.”
I tre Fratelli Mita divennero sagome luminose, e schizzarono in alto. Si unirono
nel cielo del desolato planetoide, a formare una piccola stella abbagliante.
Quando la luce si fu estinta, i ladri erano scomparsi.
La navetta partì, guidata dal
pilota automatico.
Il gigante si voltò, rivelando
la sua metà destra, fatta interamente di circuiti e metallo. Salina, angelo
della morte, tocca a te. Fai quello che devi, e sii rapida.
Salina, almeno secondo il
metro umano, era poco più di una ragazza, una bellezza dalla pelle scura e dai
capelli fatti come di luce liquida. Indossava anche lei una veste lunga, ma di
un tessuto etereo, luminoso e quasi trasparente.
Al comando del gigante, lei avvicinò
una mano sottile e diafana al cranio di Godzilla. Il titano era prigioniero di
ceppi di energia che lo inchiodavano per gli arti al
suolo. Nonostante fosse incosciente, non si erano
voluti correre rischi.
Salina toccò la mente del
gigante. Come tante volte aveva fatto, guadagnandosi
così l’appellativo di angelo della morte, avrebbe instillato nei pensieri della
sua vittima il desiderio di morire, un desiderio così forte da spingere
l’organismo ad arrestarsi spontaneamente.
Questo,
nella felice ipotesi che la vittima possedesse una mente suscettibile di una
simile influenza. Il che, era
stato vero fino a quel momento.
Godzilla spalancò un occhio,
che brillò di energia. Ringhiò.
E Salina urlò, preda del terribile feedback psichico!
Cadde in ginocchio, ansimando, boccheggiando, una mano ad artigliarsi il petto.
“Cosa..?”
il gigante non aveva mai visto succedere una cosa del genere. Sapeva dai
rapporti delle spie che questa creatura era abbastanza forte da resistere
all’influsso di un Dragonlord[i], ma
potere rivoltare il potere di una Adrianita contro sé
stessa… Hai dimostrato
una volta di troppo di non essere controllabile, creatura. Muori! Sollevò il braccio con la frusta e lo calò verso il mostro
Godzilla fletté i muscoli, e
liberò di colpo le braccia! Con una mano artigliata, afferrò
la frusta, che si avvolse intorno al suo arto.
Energia scorse lungo la
frusta, e da lì nel corpo del Re dei Mostri! Godzilla si tese e ruggì di
dolore.
“Notevole.” Il gigante era
ammirato. “Resisti nonostante tu sia in posizione di netta inferiorità. Sei
davvero caparbia come un terrestre.”
Godzilla fece molto più che
resistere: sollevò la testa, spalancò la bocca e dalle sue fauci partì una
vampata della sua fiamma atomica!
Il gigante ne fu colpito in
pieno, e toccò a lui di urlare.
Godzilla prese la frusta con
l’altra zampa e la spezzò con uno strattone. Quindi si appoggiò a terra e si
diede una spinta verso l’alto, strappando via i
rimanenti ceppi.
Il gigante alieno disperse le
fiamme con un campo di forza. Tu, ignobile… Come osi colpire un rappresentante della Nobiltà di Garan??
L’occhio artificiale emise un
colpo laser.
Godzilla fu colpito in pieno…e
non vacillò neppure.
“Impossibile!”
Godzilla non si curava di cosa
potesse essere possibile o meno. In quel momento, era
solo una macchina di furia vendicativa, per essere stato rapito per l’ennesima
volta, per avere perso la sua prole, per essere stato violato ed umiliato!
Scattò in avanti. Allo stesso tempo, lanciò una nuova vampata di fuoco atomico.
Il gigante parò con il campo di forza. Ma, sottovalutando la velocità del suo avversario, non
riuscì ad evitare di essere colpito da un potente pugno al plesso solare! Il
campo di forza vacillò.
Subito dopo,
Godzilla si chinò ad afferrare il suo nemico per le gambe; quindi, si mise a
roteare come una trottola due o tre volte, per poi lanciare il gigante come un
pupazzo contro il fianco di una collina. Il campo di forza si indebolì, e divenne intermittente.
Godzilla afferrò un enorme
spunzone di roccia, e lo spezzò in due. Sollevò la sua metà come una lancia, e
la scagliò con tutta la sua forza!
Quello che rimaneva del campo
si dissolse. Il gigante fu impalato per il petto, dal lato metallico.
Godzilla si avvicinò per il
colpo di grazia.
Ormai il gigante era in preda
al panico. Sapeva di non avere scampo, il mostro lo avrebbe
annientato!
Godzilla spalancò la bocca. Il
fuoco atomico brillò nella sua gola.
Il gigante fece un gesto con
il braccio meccanico.
Godzilla
scomparve.
Lo spazio sembrò esplodere.
Poi, dalla fiammata, emerse la figura del Neonautilus.
“Bene, terrestri: ecco il
pianeta Naplar, sede della Gilda dei Ladri della Galassia di Laguna.”
Al centro dello schermo
principale, troneggiava la figura di un pianeta avvolto da un fitto strato
atmosferico arancione, come una versione molto più
grande di Titano. Non c’erano lune naturali, ma un sacco di satelliti
artificiali, che andavano dalle dimensioni di un
Telestar a quelle di una stazione spaziale. Scintillavano come tanti gioielli.
“Il pianeta è abitato?” chiese
il professor Lawson.
Jolos annuì. “L’atmosfera è
stata letteralmente rimodellata come la vedete. I ladri di Naplar adorano
mantenere bene protetti i loro segreti. Le stazioni spaziali servono per i
clienti particolarmente graditi. Gli altri, volenti o nolenti, devono prendere
le loro precauzioni per sopravvivere all’ambiente della superficie. E i satelliti, oltre a contenere ogni possibile strumento di
scansione, sono armati a sufficienza per annientare una flotta stellare. Alcuni
sono armati con bombe antimateria.”
“E
nessuno ha…da ridire?” fece Hawkins, perplesso. “Insomma, così, tutto alla luce
del sole?”
Il Cavaliere d’Oro annuì. “E cosa ci sarebbe, da dire? Nel loro settore, i ladri hanno
diritto a condurre ogni possibile transazione, e i loro clienti ad essere
lasciati in pace. Clienti che, naturalmente, godono del
più stretto anonimato. E, sempre naturalmente, se un ladro della Gilda viene catturato durante il suo lavoro, sono affari suoi. La
Gilda può ricomprarselo a caro prezzo, ammesso che i detentori dello sventurato
accettino il riscatto.”
“Come le prendono le domande sulle loro
attività, questi signori?” chiese Howards.
“Dipende: nonostante quello
che si dice dell’’onore fra i ladri’, in molti non esiterebbero a mettere nei
guai i loro confratelli, se allo stesso tempo ciò darebbe loro dei benefici e potessero cavarsela senza finire in
una guerra fra famiglie. Se siamo fortunati in tale
senso, non dovrete pagare molto per una solida informazione. In caso contrario,
bisognerà come minimo pagare al Signore della Gilda l’equivalente di un anno di
servizio del ladro il cui nome si vuole conoscere.
Loro la chiamano ‘polizza assicurativa’, nel caso il ladro dovesse passare un
guaio a causa dell’informazione.”
“Certi ex dirigenti della DDR
che conoscevo farebbero carte false per traslocare qui,”
disse la sonarista.
“Se
ho capito bene, Tchiriko” disse Pollard, “voi Hudak siete alquanto rispettati. O almeno, lo è la vostra Gilda dei Dragonieri. Ci sono
speranze che il Signore di Gilda ci riveli tutto in nome della diplomazia?
Ammesso che conosca i movimenti di tutti i suoi ladri, s’intende.”
“Il Signore di Gilda è sempre al corrente di ogni singolo contratto,” rispose la palla di
pelo adagiata sul tavolino pieghevole che il Capitano di solito usava per il caffè.
“Non c’è transazione che non sia archiviata nel suo
palazzo.
“Quanto alla sua
collaborazione, non ne avrete in nome della
diplomazia. La Gilda dei Ladri è strettamente neutrale. Potrebbe capitolare
solo se disponeste di un potere cosmico sufficiente a
distruggere il pianeta.”
“Non credo che siamo così
fortunati,” disse Takeshi. “Anzi, credo che una loro bomba di antimateria
possa dare a loro il diritto di dirci di smammare.”
“Allora passeremo per la porta
posteriore,” disse Alan. “Alieni o no, come tutti i ladri
daranno pure qualcosa di cui parlare. E il furto di
Godzilla proprio su Rammatpolen sarà ben argomento di due o tre chiacchiere,
no? Datemi qualche canale in chiaro, e vedremo se il nostro Echelon di bordo
varrà i suoi soldi.”
“Proviamo,
signor Parker. E già che c’è, imposti il nostro ‘orecchio’ per localizzare qualunque notizia sulla presenza
di Godzilla ovunque si trovi. Con un po’ di fortuna, non saremo neppure
costretti a rivolgerci alla Gilda.” Con molta fortuna! Disse a sé stesso. L’Echelon di bordo non era certo predisposto per i canali subspaziali…
La grande
fiamma esplose in mezzo alle tenebre. In pochi istanti, si trasformò in un
volto cornuto demoniaco, dagli occhi neri e una bocca spalancata irta di zanne.
“Hai fallito, Gengur? Come hai potuto?”
Il gigante per metà automa era
in ginocchio nel mezzo di un enorme tempio. Le pareti erano occupate da file di immense cariatidi marmoree di creature uscite da un
incubo dantesco. Solo lo spazio di una cariatide era vuoto.
Gengur chinò la testa. “Sono
stato preso di sorpresa, Grande Ereba. Con mia grande
vergogna, ho sottovalutato la resistenza della creatura terrestre. Ma ho le sue uova…”
“Idiota! Hai estratto le uova troppo presto! Il trauma
ha ucciso tutti i pulcini, tranne uno.”
Mia Signora,
io… Questa volta, Gengur toccò il
pavimento con la fronte.
“Le condizioni del sopravvissuto sono troppo gravi per potere prevedere se ci sarà utile. Per
adesso, occorrerà catturare di nuovo Godzilla, ed assicurarsi che sia in grado
di deporre un’altra volta. Gengur, perché hai cambiato
la missione cercando di ucciderlo, quando i miei ordini erano di portarlo al
mio cospetto?”
Gengur sollevò la testa, verso
il grande schermo che troneggiava all’estremità del tempio. Le creature del pianeta Terra sono
imprevedibili, pericolose. Ho ritenuto di non dovere correre alcun rischio. Ero
convinto che le uova fossero abbastanza resistenti…
“Lascia che sia io a pensare, stolto. Affiderò ad un
altro nobile il recupero. Tu riposa e riprenditi dalle tue ferite. Quello che
ti è stato fatto dal mostro è punizione sufficiente,
per oggi.” Il volto sospeso nello
schermo si contrasse e tornò ad essere un semplice fuoco fatuo.
Gengur si alzò in piedi. Con
passo fermo, non osando mostrare altra debolezza di fronte ai suoi simili, si
avvicinò allo spazio vuoto fra le cariatidi.
Ovunque tu sia, Godzilla, sappi che la
caccia è appena iniziata. Tu e la tua prole apparterrete alla nostra stirpe, te
lo giuro!
Gengur
si mise nel suo spazio e sollevò le mani sopra di sé, fino a toccare la volta.
A quel punto, il suo corpo fu avvolto da una luce tremenda, e carne e metallo divennero bianco marmo.
Il mondo era l’equivalente di
un paradiso. Era vecchio come la Terra, ma qui nessun incidente cosmico aveva
fermato l’orologio dell’evoluzione dei dinosauri locali.
Nonostante fosse grande il doppio di un uomo, la creatura era
giovane. Aveva ancora un aspetto goffo, ma nei suoi occhi brillava
un’intelligenza vispa.
La sua pelle era verde, e
aveva un accenno di cresta ossea che andava dal cranio fino alla radice della
coda. Assomigliava ad un tirannosauro in miniatura, ma dal muso più affilato e
con tratti che denotavano la sua versatilità espressiva.
Il rettile spostò i cespugli e
giunse al suo lago preferito, dove amava rinfrescarsi e dissetarsi…
Si fermò di colpo, emettendo
un verso strozzato. Tale fu il suo stupore, che ricadde comicamente sul sedere,
sollevando una piccola nube di polvere.
Si chiese chi fosse quel gigantesco straniero sdraiato nell’acqua, inerte,
proprio a poca distanza dalla riva…